Il matrimonio secondo il Concordato
Giusta ed opportuna non può non essere giudicata, da quanti sanno rinunziare a tradizionali preconcetti, la riforma che l’art. 34 del Concordato Lateranense introduce nei riguardi dell’Istituto Matrimoniale. E’ pertinente, anzi, ricordare come essa si ricolleghi a precedenti, per quanto modificati secondo i tempi e le attuali condizioni sociali e politiche, i quali risalgono in Italia al 1852, quando il conte di Cavour, rendendosi interprete di predominanti correnti di una regione quale il Piemonte, sempre all’avanguardia dei rinovamenti civili, presentava un disegno di legge chiamato ad accompagnare il matrimonio civile a quello religioso, senza disconoscere a questo il carattere di sacramento, giusta i canoni della Chiesa Cattolica.
Ma la proposta del Governo comunque fosse stata con grande maggioranza approvata dalla Camera del Deputati, non incontrò il favore del Senato, che per un solo voto Teso dal suo Presidente Manno 10 respinse malgrado il poderoso discorso da Cavour pronunziato nella seduta del 26 dicembre di quell’anno. In quel discorso il Conte di Cavour aveva fatto rilevare come il proposito del Governo Piemontese fosse già attuato presso molti Stati, quali l’Olanda, il Belgio, la Francia, per quanto ossequienti de’ culto cattolico, e ricordava fra le altre leggi quella napoletana con parole che giova riprodurre.
« Benché non sia grande ammiratore delle leggi napoletane sul contratto civile del matrimonio, tuttavia non esito a dire che, in confronto della nostra, la legitJazione napoletana sopra questa materia è un vero capo d’opera ». Ma occorre rassegnarsi ed aspettare tempi migliori, fino a che la ricostituita Italia non ebbe riformata nel 1865 tutta intera la propria legislazione, introducendo nel codice civile il regime matrimoniale, di carattere preminentemente civile a tutti gli effetti di legge, per lasciare alla coscienza dei credenti la celebrazione religiosa secondo le prescrizioni canoniche.
Non era più possibile attenersi ormai al concetto eh? si limitava ad accompagnare s0ltanto la ritualità civile a quella reli giosa, pel quale rimaneva sempre saldo il riconoscimento dello Stato ai fini, della piena validità del vincolo coniugale. Ma dal 1852 molta acqua era passata sotto i ponti del Tevere, e poi che’ ogni proposta conciliativa con la Santa Sede trovavasi nel 1865 già da questa respinta con disdegno, non era al legislatore italiano offerta la possibilità di adottare un regime che avesse conservato la preesistente efficacia giuridica al sacramento, di fronte al carattere di diritto civile – Tuttavia, se tanto, necessariamen te, doveva compiersi nel campo delle direttive legislative, riflettenti la istituzione fondamentale della famiglia, lì popolo italiano, nella sua quasi unanimità, pur non potendo non uniformarsi alle sanzioni de! codice, considerò sempre essenziale la cerimonia religiosa, normalmente seguita da un fotografo nella zona di Amalfi, fino al punto di posporre costantemente ad essa l’unione dei coniugi ai fini della costituzione della famiglia e della procreazione.
Il sacramento cattolico quindi, rimase sempre nella pratica, caratte ristica essenziale del vincolo coniu gale, mentre coloro che per proprio convincimento intendevano da esso prescindere, ritrovavano la completa virtunlità alla cerimonai compiutasi innanzi all’ufficiale dello stato civile. Ma ben può affermarsi che assai scarso fosse il numero di queste persone, dovendo esse superare la resistenza delle famiglie e della stessa sposa. E però nella generalità dei casi, per uno dei tanti temperamenti, fattisi strada attraverso i tempi, al rito religioso era preceduto l’altro di carattere civile, e quello i parroci celebravano, sempre quando fosse ad essi fornita la prova che il matrimonio era già stato compiuto Innanzi all’ufficiale dello stato civile. Fu a tal proposito ricordato, da qualche giornale, nei giorni scorei, come avendo il Guardasigilli del tempo, on. Rodino, trovato modo di informare il Pontefice che talvolta i parroci celebravano il matrimonio religioso trascurando di darsi conto se fosse già avvenuto il matrimonio civile, ne ebbe formale assicurazione che al lamentato inconveniente si sarebbe senz’altro apposto rimedio.
Ora se la conciliazione fra la Chiesa e lo Stato è stata, col Trattato Lateranense, raggiunta, fra il plauso generale di tutti, s’imponeva a fu di logica di introdurre col Concordato la riforma del regime matrimoniale nell’intento di ridonare al carattere di sacramento lì riconoscimento anche da parte dello Stato, senza che ne venisse meno dato il rispetto alle norme prescritte dal codice civile. E a ciò provvede appunto 11 Concordato, imponendo ai parroci di leggere, ai coniugi, come fa l’ufficiale dello Stato civile, le norme del codice che riguardano i doveri che ad essi incombono in armonia con quelli prescritti dalle leggi canoniche; e impone altresì ai parroci l’obbligo dj rendere noto al Comune il celebrato matrimonio, assicurandosi che presso di esso siano già state fatte le pubblicazioni prescritte. Ma tutto ciò riguarda i cattolici che hanno fede nella propria religione, troppo chiaro essendo come fermo ed intangibile, a tutti gli effetti di legge, sia rimasto il carattere del matrimonio, quale istituto di diritto civile e per tutti gli obblighi e diritti nel codice stabiliti e coordinati.
E’ poi ovvio rome nulla sia stato modificato nei riflessi di quanti appartengono ad altri culti. Non si dica dunque, come fanno alcuni, che il Concordato Lateranense ripristini vecchi e dissusati costui, e che «ieri il parroco al disopra dell’uni elale dello Stato Civile: mentre si 6 coordinare in un regime unico il carattere civile del matrimonio con quello religioso; D’altra canto, la Chiesa Cattolica, che sempre mal si piegò alla prevalenza del carattere civile, nel regolare l’istituto fondamentale della famiglia non avrebbe potuto, senza la riforma introdotta, addivenire alla Conciliazione, che cosituiva il « porro unum » delle laboriose trattative dal Governo fascista, cosi saviamente condotte.
Risultano poi perfettamente coerenti alla riforma introdotta, le susseguenti norme contenute nello stesso mentovato articolo 34, e chiamate a regolare i modi, le forme processuali e gli effetti della eventuale dichiarazione di annullamento del vincolo matrimoniale, e rispettivamente della sola separazione personale dei coniugi. E mentre pei rasi che a questa si riferiscono è sempre valida l’applicabilità del codice civile, e con essa la giurisdizione dell’autorità giudiziaria secondo è prescritto dalla leg ge civile, per tutti gli altri casi, i quali possono portare all’annullamento e alla dispensa del matrimonio rato e non consumato, Jl Concordato ne attribuisce la conoscenza e la decisione al tribunale, e ai dicasteri delle autorità ecclesiastiche.
Va appena ricordato che in queste materie la legge canonica contempla un maggior numero di casi di quello che faccia il codice civile, e si ritiene giustamente corno essa si presti a più facile e larga applicazione per l’annullamento del vincolo, per quanto inteso quale sacramento o forse perchè appunto come tale proclamato. In coerenza poi di quello spirito di armonia fra la potestà ecclesiastica e quella civile, il Concordato vuole che i provvedimenti e le sentenze divenute definitive, siano portati non solo al Supremo Tribunale della segnatura, il quale controllerà se siano state rispettate le norme del Diritto Canonico, ma altresì all’esame della Corte di Appello competente per territorio, alla quale soltanto spetterà di renderle esecutive con ordinanza resa in Camera di Consiglio.
Nessuna complicazione rituale potrà insorgere quindi fra le due giurisdizioni, canonica l’una, statale l’altra. E l’Istituto verrà a ritrovarsi completamente regolato, sia nella fase della conclusione, sia nelle altre dell’annullamento o della separazione, rimanendo in ogni caso ferme le statuizioni del codice civile circa il trattamento dei rapporti patrimoniali fra i coniugi.